Negli ultimi giorni qui al Gambero Rosso siamo stati partecipi di due importanti eventi.
Lunedì 15 Ottobre è avvenuta la tanto attesa serata che ci ha visto protagonisti insieme con i nostri colleghi delle “Premiate Trattorie Italiane ”, un sodalizio ormai collaudato che si esibito qui a S.Piero per il terzo incontro.
Per dare un’idea della straordinarietà della serata basta leggere il commento di Eugenio Signoroni , Responsabile della Guida Osterie d’Italia di Slow Food, che ha cortesemente accettato di presenziare, come aveva fatto Marco Bolasco, altro responsabile di Slow Food, nel Luglio scorso a Isola Dovarese.
Dal blog “Cibario” , a firma di Eugenio Signoroni: leggi qui
Le cinque trattorie che aderiscono all’associazione ” Premiate Trattorie Italiane” , oltre a noi, sono La Brinca di Nè (GE), Amerigo di Savigno (BO), Caffè La Crepa di Isola Dovarese (CR) e Lokanda Devetak di San Martino del Carso (GO).
Grande entusiasmo fra le cinque trattorie, vista la riuscita della cena, che si sono già date appuntamento per i prossimi due incontri: il 5 Febbraio a Né (La Brinca) e il 15 Aprile in quel di San Martino del Carso (Lokanda Devetak).
Nel frattempo stiamo esaminando le richieste di adesione a questa nuova importante associazione e, probabilmente, al prossimo incontro ci saranno “new entry”.
Un altro appuntamento importante ci ha visto coinvolti, lunedì scorso, nella IX Festa internazionale della storia organizzato dall’Alma Mater Studiorum, facoltà di Scienze della Formazione, dipartimento di Discipline storiche, antropologiche e geografiche e il Laboratorio multidisciplinare di Ricerca storica dell’Università di Bologna.
Il quadro degli eventi prevedeva, per la giornata di lunedì 22 Ottobre, il convegno “Il cibo fa storia” coordinato dal giornalista e scrittore Giancarlo Roversi ed il tema da svolgere si intitolava “Latte e Latticini” a cui, noi del Gambero Rosso, siamo stati invitati come relatori nella sessione pomeridiana, per parlare di cosa? Del raviggiolo, naturalmente.
Gli altri formaggi “concorrenti” erano grossi calibri quali il Parmigiano-Reggiano, il Grana e il Formaggio di fossa.
Vorremmo farvi partecipi della nostra emozione soprattutto ripensando a quando, vent’anni fa, Giuliana si mise in testa di far tornare sulle nostre tavole, e riproporre come peculiarità, tutti quei prodotti e mangiari assai consueti per noi, ma sopraffatti dall’ondata di novità che ci sono state propinate dall’industria alimentare a partire dagli anni ‘60, e quindi finiti nel dimenticatoio o ritenuti poco significativi.
Una persona sola, su un centinaio di presenti, ha alzato la mano quando Roversi ha chiesto in quanti erano a conoscenza del raviggiolo. Ma questo è plausibile se si considera che il raviggiolo, che dalle nostre parti è ritornato ad essere apprezzato, ha una vita breve e non si adatta alle esigenze della distribuzione alimentare che fa trovare sui banchi dei supermercati ogni tipo di formaggio provenienti da ogni dove.
Il raviggiolo no! A meno che non si voglia chiamare con questo nome un formaggio “ripieno” di conservanti e quantaltro.
Nel narrare la storia del nostro raviggiolo abbiamo notato però un vero interesse da parte degli studenti (c’era anche una rappresentanza dell’Istituto Alberghiero di Castel San Pietro Terme) e degli altri partecipanti.
E’ stato come prendersi una rivincita quando, alla fine del convegno, abbiamo ricevuto testimonianze di stima da parte dei convenuti e degli organizzatori.
Alla fine poi c’è stato l’assaggio finale del prodotto fresco, fatto il giorno prima, che avevamo portato con noi e potete immaginare i commenti.
Per la verità c’è stato anche qualcuno che non ha apprezzato più di tanto. Una studentessa ha detto con sincerità che lei preferisce formaggi come il Filadelfia (tanto per fare un esempio).
Al che io, mia moglie e anche altri abbiamo convenuto che c’è ancora tanto lavoro da fare per una educazione al cibo e questo, oltre che a noi ristoratori, spetta anche alle famiglie e alle scuole, specialmente quelle specifiche. |